Danimarca e Svezia

Un break dalle Cronache Danesi ● Malmö, o Mångfald, Möten, Möjligheter

Ad un certo punto, poi, ho deciso di andare in Svezia.
Per gli Abba? Per i Roxette? Per gli Ace of Base? Per l’IKEA? No, a Malmö ci sono andata perché probabilmente avevo bisogno di ricordarmi di quanto sono stata fortunata ad essere un’extra comunitaria. Quindi, si va in Svezia. Niente aerei, né barche. A Copenhagen sono saltata su un treno stracarico di persone, biciclette, pattini, valigioni, bambini impannolinati, caciotte dell’IKEA. Vicino a me, lei – la mia prima avventura: bionda (ovvio), alta (ovvio), bella come una dea egizia (ovvio), con ai piedi degli scarponi che nemmeno Ercole avrebbe avuto la tempra d’alzare (già meno ovvio).

Mi guarda e mi chiede due cose: “Sei svedese?” (ovvio che non lo sono), e “Sei bosniaca?” (talmente non ovvia, come osservazione, che mi chiedo se si tratti di uno scherzo). La guardo e mi metto a ridere, e le dico che non sono né svedese, né tanto meno bosniaca, benché a Sarajevo e Mostar io ci abbia lasciato un pezzo di cuore. Quasi sembra non ascoltarmi, e anzi continua ordinandomi: “Molto bene. Allora, preparati”. Non ho tempo di eseguire la direttiva indicata dalla Dea dello Scarpone che il treno diventa buio, e sparisce sotto terra per poi ricomparire su quello che per me rimane uno degli azzardi architettonici più affascinanti che abbia testimoniato nei miei viaggi finora, ovvero l’Øresund, il ponte che unisce Svezia e Danimarca.

E’ il più lungo salto d’acciaio di questo tipo d’Europa. E se guardi giù, ed ignori il rumore delle rotaie, per un attimo puoi pensare di volare sull’acqua, mentre due grandi civiltà diventano piano piano più vicine, e si toccano. Come ad Erri de Luca, anche a me piacciono i ponti:

Soprattutto quelli dove nessuno ti chiede il passaporto e diventi semplicemente un Essere Umano senza una bandiera, senza una capitale, senza il mortaio della religione.

Il motto di Malmö è ”Mångfald, Möten, Möjligheter”, ovvero ”diversità, incontro, possibilità”. Non appena scendi dal treno alla stazione, ti rendi conto che le statistiche spesso sono numeri sociali, personali, e veritieri: dicono che il 30% degli abitanti di questa città o non sia nato in Svezia, o abbia genitori che sono nati altrove. C’è chi viene dalle bombe dell’Irak, chi dalla mia amata Bosnia, dal Libano, dalla Danimarca, dalla Turchia.
La mia prima sera si conclude al tavolo di un ristorante indiano dove incontro la mia seconda avventura – Lui svedese e Lei finlandese. Non ci interessano i nomi, non ci interessa tanto meno parlare delle nostre professioni. Siamo stati tutti e tre dei migranti altrove. Abbiamo visto la vita sotto altri colori, e abbiamo assaggiato cibi dai profumi lontani da quelli a cui ci avevamo abituati i nostri genitori. Loro in Medio Oriente per quindici anni, io nella mia Hibernia per circa otto.

Mentre intingiamo il naan nel raita, ci sembra di conoscerci da tantissimi anni: parliamo delle strade su cui abbiamo macinato chilometri e ci hanno portato qui, in questa piazza in Svezia ad incontrarci, e a perderci tra poco. Loro mi descrivono i visi dei beduini, e le mani dei piccoli vicini di casa che giocavano a pallone di fronte alla loro porta nell’Oman. Io gli dico come fosse semplice andare a comprare il latte e chiamarlo milk, e come sia immediato ora ringraziare dicendo tak. Se da una parte l’incontro con l’Altro ci permette d’essere più spontanei e più leggeri, dall’altra ci dona un’immensa possibilità, ovvero quella di conoscerci meglio perché ci possiamo spesso ritrovare negli occhi di chi sta di fronte a noi altrove. Alla sera siamo tutti stanchi, ed abbiamo bisogno di dormire, o ci viene sete se c’è caldo, o piangiamo se perdiamo qualcuno che amavamo. Le benedette statistiche dicono che a Malmö vivano circa 170 etnie differenti.
Tutte queste bandiere sono felici quando sono innamorate, o si divertono ad andare alla feste, o lavano i panni, o si versano un bicchiere d’acqua. Siamo tutti uguali, alla fine delle nostre giornate. Malmö mi ha ricordato cosa significa essere una migrante, una viaggiatrice, un’extra comunitaria come la chiamano gli Ignoranti di alcuni governi, un pericolo pubblico come la identifica chi non ha capito di quale ricchezza possa provenire da un ponte, vero o allegorico.

Malmö con la sua architettura fantastica, e le sue strade cariche di draghi, gufi, e scimmie, mi ha fatto ricordare che ogni tanto bisogna essere grati della vita che ci si è costruiti: la mia, finora, è stata molteplice, mai una, mai diretta da una lingua unificante, mai dettata da un cielo. Guidata invece dal viaggio, vero o allegorico, su un aereo o davanti ad un piatto di bindi bhaji, in una piazza svedese a mezzora dalla Danimarca in un’Europa che trema ma che ci ha donato, volente o nolente, una grandezza mentale infinita.

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Una risposta a “Un break dalle Cronache Danesi ● Malmö, o Mångfald, Möten, Möjligheter”

  1. “L’unica opera edilizia cordiale è il ponte, che invece di dividere vuole unire, vuole collegare, scavalcare le rivalità” Splendido Erri De Luca

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