Bolivia

Potosì

Eve of destruction

“Non ci sono colori, qui dentro. La bellezza della natura scompare all’ingresso del tunnel, le risate muoiono, i sorrisi cessano. Non c’è Tìo che tenga. Lui ed il suo fallo spropositato, noi che accendiamo quelle sigarette nella sua bocca d’argilla con la stessa facilità e scelleratezza con cui appicchiamo il fuoco sui candelotti di dinamite che qui a Potosí possiamo acquistare ovunque, in qualsiasi negozio. Pensa, a volte, sono quei turisti a portarceli. Chissà se lo capiscono davvero cosa succede qua sotto da secoli”.

Potosí è una delle cittadine più alte del mondo. Si sale a 4070 metri per arrivarci. A Potosí la razza umana merita l’estinzione.

Una drammatica pantomima

“Non c’è aria qui dentro. La brezza scompare all’entrata della galleria. Le temperature salgono e scendono inesorabilmente a seconda del tunnel in cui ti trovi a lavorare. Se il filone d’argento che stai seguendo va verso il ventre della Pachamama, ne avverti il calore immediato. Se ti allontani, il freddo ti mangerà le ossa. Oggi io sono inginocchiato che buco la parete qui, in fondo ad una delle parti più vicine all’ingresso. Li aspetto, i turisti. Davanti a me, ho una collezione di rocce di diverso tipo. Tenterò di venderle raccontando la solita storia: dirò che lavoro in questo ventre rovente e senza ossigeno per pagarmi gli studi alla scuola del turismo. Qualcuno mi crederà, qualcuno comprerà le pietre. Qualcuno guarderà altrove perché avrà capito che si tratta di una drammatica pantomima”.

A Potosí, la storia si ripete. La città fondata a metà del XVI secolo ha le spalle coperte dal “Cerro Rico”, la montagna preziosa. Per secoli, dal suo stomaco, vengono estratti minerali di varietà differenti: argento, oro, zinco, ed altro. “Vale un potosí” , si dice ancora adesso in spagnolo, “vale una fortuna”. La dominazione spagnola, presente in questa parte di mondo per più di tre secoli, viene portata avanti “con la croce cristiana sul petto, e la spada nascosta dietro alla schiena”.

I materiali preziosi, resi immortali anche nel “Don Chisciotte” di Cervantes, vengono fatti estrarre prima dagli indios e poi anche dagli schiavi deportati dall’Africa.

Si calcola che siano stati circa 8 milioni i morti sacrificati nelle gallerie del Cerro Rico dal 1525 ad oggi.

Pachamama, tornerò presto da te

“Il medico parla veloce. Come molti di noi, anche lui dev’esserci abituato a dare questo tipo di notizie. Usa dei termini che ho già sentito altre volte nella mia famiglia, nella mia vita: silicosi, cancro ai polmoni, enfisema. Continuo a masticare il mio bolo di foglie di coca. Pachamama, tornerò presto nel tuo ventre”.

A causa delle estreme condizioni lavorative e della pressoché totale assenza di semplici regole di sicurezza, a Potosí si muore da secoli in giovane età.

I minatori muoiono mediamente a 40 anni, principalmente a causa di silicosi, e soprattutto nei secoli passati, a seguito del crollo delle miniere e a causa dell’avvelenamento da mercurio, provocato dal contatto con il metallo delle mani e dei piedi nudi, oltre che dai suoi vapori tossici.

“Non abbiamo imparato nulla”, mi ripeto mentre esco da una di quelle gallerie a dicembre 2016. 8 milioni di morti hanno bucato questa terra che ora giace svuotata e povera.
Ce la meritiamo, l’estinzione.

 

 Uyuni – non c’è una fine, né alcun… 

6 risposte a “Potosì”

  1. Vane che dire, per un attimo ci ho sperato davvero che la storia della scuola del turismo fosse vera. Bellissimo diario, hai catturato ciò che anche io ho provato lì dentro, nonostante sia difficile da interpretare “nero su bianco”. Attendo con ansia gli altri racconti 🙂

    • Eravamo dentro quella galleria insieme, di fronte a quel ragazzo. E solo per un attimo ci abbiamo sperato. Un attimo molto breve. Non ce la dimenticheremo mai, la Bolivia. Anche per quegli occhi, là dentro.

  2. Brava Vanessa. Ero con te in quella galleria. Sei riuscita a rendere con le parole, lo stato d’animo che ci ha accompagnato durante la visita.

    • Grazie mille Tere. Secondo me, noi, la Bolivia non ce la possiamo dimenticare. Anche per esperienze come questa. Al prossimo racconto!

  3. Grazie Vanessa, riesci a trasformare in racconti ricchi di significato le emozioni e sensazioni. Continuo a rileggere le tue parole, perché mi fanno rivivere quei momenti.
    Ce la meritiamo, l’estinzione!
    Grande Vane, a presto

    • Grazie mille Marina. Sono certa che in giro per il mondo ci siano infinite storie come quella di Potosì. Bisogna raccontarle, queste vicende, farle conoscere. A presto, un abbraccio grande

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