Regno Unito

Vado nel Somerset

Ancora tutti dormono
Sveglia alle 4 e mezza. Partenze di questo tipo non mi pesano, anche se ho gli occhi gonfi e la gola moscia. La prima cosa che faccio è prepararmi un caffè, anzi due. E poi via, si parte. Mi emoziono sempre ad attraversare Torino quando ancora tutti dormono: la mia città è solo mia a quest’ora.
Mi emoziona passare accanto al grattacielo di Renzo Piano, che tutti odiano e a me invece piace; attraversare Porta Palazzo, guardare quelli che alle 4 si svegliano ogni giorno e spostano a braccia i carretti dell’ortofrutta. Una volta dicevano che a spostare i carretti fossero solo stranieri. Le cose, ora, stanno in modo molto diverso. Mi piace percorrere Corso Giulio, e ridere ogni volta che leggo i nomi di certi negozi. Ce n’è uno in particolare che si chiama “Remainder’s” e non si capisce se i proprietari non lo sanno di aver chiamato la loro attività “Avanzo” o peggio, “Dell’avanzo”, genitivo sassone lo chiamano quelli che l’inglese lo sanno bene. Cosa ti fa decidere di chiamare il tuo negozio così? Noia? Ansia da prestazione? Tipo: “Non aspettarti granché, se vieni da noi. Ti beccherai solo degli avanzi”. O forse intendevano “svendita”? Bah. Vai a sapere.
Tornando a noi, comunque, quando parto per piccoli viaggi come questo, mi fa tornare alla mente che il semplice andare dal luogo A (Torino) al luogo B (Somerset) può essere un fine in sé, non un mezzo. L’ambiente che attraverso asseconda il movimento.

Cose che non ho mai capito e non capirò mai.
Ad esempio, non ho mai capito perché ogni volta che mi siedo su un aereo, mi addormento in modo a dir poco violento. Mi siedo, chiudo gli occhi, un gran buio, probabilmente un rivolo di bava mi scorre sul collo tra l’enorme orrore dei miei vicini, e bam! Eccoci atterrare a destinazione.
Nello specifico questa volta ritorno in vita a Bristol. Lì affitto una macchina che, essendo inglese, ha tutte le cose utili per guidare “al contrario”. Per fortuna i miei anni irlandesi alla guida di una Punto eroica e a dir poco scassata, sono serviti anche a questo. Ciononostante, ammetto che al primo incrocio in cui do la precedenza “ al contrario”, mi ritrovo a ridere da sola perché mi tornano alla mente quando andavo a Shannon a recuperare chi mi veniva a trovare a Limerick e loro, alla prima rotonda, reagivano conficcandosi le unghie nelle cosce, o urlando, o sudando. Le risate.
Dico al GPS che voglio andare a Bath, e lui, anzi no, lei comincia subito a parlarmi snocciolando indicazioni stradali. Sebbene Lei parli inglese, utilizza incredibili concetti tipo yards, o miles, per spiegarmi tra quanto dovrò girare a destra, oppure svoltare a sinistra. La mia preferita in questi giorni nel Somerset diventerà ¾ di miglia. Ammetto di non essere mai riuscita a ricordare quanti metri o chilometri fosse un miglio. Ammetto comunque di non essermi mai troppo flagellata in merito: penso che i viaggi migliori siano quelli in cui ti perdi un po’, o sbagli strada, o giri a vuoto. Perdersi ti fa ritrovare a volte.
La strada tra l’aeroporto di Bristol e Bath corre attraverso la campagna inglese. Quando poco più di un’ora dopo arrivo al B&B che avevo prenotato nella città di Sulis Minerva, la mia camera è un gioiello di pulizia e dalle finestre mansardate intravedo giardini ben curati, e sorrido vedendo come la vita torni alla luce attraverso il giallo dei narcisi che mi accompagnerà in tutto il Somerset. Esco alla svelta: quando viaggio, mi dico spesso che non c’è tempo, che non bisogna sprecarne riposandosi. Per dormire c’è la notte, quella passeggera o quella eterna.

Diciamo le cose come stanno
Bath è semplicemente meravigliosa. In un breve spazio, ti regala dei veri e propri gioielli: i bagni romani, l’Abbazia, il Municipio della città, il fiume Avon, il Royal Crescent, il Circus. Se Bath fosse un uomo, sarei convolata a nozze. Diciamo le cose come stanno.
Ad esempio: ai lati dell’Abbazia, che in origine era una cattedrale normanna, ci sono degli angeli che si arrampicano. Sì, si arrampicano su per le torri. Mi fermo lì per mezzora e mi piace pensare che lo stiano facendo non solo per arrivare a toccare dio, ma anche per vedere le terme romane da una prospettiva eccezionale.
Oppure: i Bagni Romani. Pazzeschi. Roma lontano da Roma. Costruiti da Vespasiano, uno dei tremila e cinquecento imperatori romani che ti fanno studiare a scuola e poi te li dimentichi. O per lo meno, io me li sono scordati (perché, voi no? Ad esempio: è venuto prima Vespasiano o Giulio Cesare? Non guardate su Wikipedia!).

Dicevo – i Bagni, pazzeschi. Ti raccontano che da millenni dal sottosuolo fuoriesce acqua bollente, che vedi andando nei sotterranei. Le Terme di Bath erano conosciute in tutto l’Impero Romano e frequentate da gente di ogni classe sociale. Il complesso comprendeva anche un tempio dedicato all’antica dea celtica dell’acqua e alla dea romana Minerva, della quale si può ancora osservare una testa in ferro. Mettiamola così: Minerva non era esattamente affascinante. Poi c’è la Gorgone, che qui stranamente ha fattezze maschili.

La mia prossima tappa è il Circus di Bath: è un complesso residenziale circolare. Al centro una strada circolare. Ogni segmento è diviso in più unità abitative, esattamente speculari ed ognuna col proprio ingresso. Se si osserva dall’alto, va a formare insieme al vicino Royal Crescent la figura massonica del Sole-Luna. Dicono che nel loro insieme simboleggino la dialettica degli opposti, l’alternanza e l’equilibrio del giorno e della notte, della luce e dell’oscurità, del bianco e del nero.
Arrivo al Royal Crescent mentre inizia un romantico tramonto. Mi vorrei sedere davanti a questo importante complesso residenziale, composto da 30 unità abitative a schiera disposte secondo una mezzaluna (in lingua inglese, appunto, crescent). Mi vorrei sedere ma non lo faccio perché è tutto così ordinato e pulito sul prato di fronte che ho quasi timore di rovinarne i fili d’erba, e allora piano piano me ne sono tornata al B&B. Il cielo di Bath era tinto di rosa. Indimenticabile. Diciamo le cose come stanno.

Comunque sia, nessuno lo sa.
Dopo Bath, nel mio itinerario c’è Stonehenge. Qualche fatto straordinario su questo sito:

  • Quasi nessuno sa scrivere o pronunciare il nome del sito in modo corretto. Anzi, la prima parte del termine di solito viene azzeccata: STONE è facile, anche per chi come me non è madre lingua inglese. Molti, invece, lo chiamano Stone (e fino qui tutto benone) Edge, come il chitarrista degli U2. Oppure lo scrivono Stone (e fino qui lisci) Egg, e no – le uova non c’entrano. Il nome corretto è Stonehenge, aspirate quell’acca in mezzo alla parola.
  • Wikipedia ed altri siti assai sopraffini sostengono che Stonehenge sia larga 33 metri, ma si tratta di una vaccata, per metterla giù in maniera elegante. Il sito di Stonehenge è enorme, qualche chilometro quadrato mi pare. Se lo potesse osservare dall’alto, si può vedere come il sito comprenda non solo il mitico cerchio di pietre entrato ormai nell’immaginario collettivo, ma anche una specie di decumano, ed una foresta che porta il nome assai evocativo di Larkhill (come quella di Ishiguro in Never Let Me Go, uno dei libri più terribili e allo stesso affascinanti della storia della letteratura britannica). E’ un po’ come dire che Petra è “solo” quello che nel mondo è conosciuto come il “Tesoro”. In realtà per girare Petra ci vogliono dei giorni interi e delle gambe molto ma molto forti.
  • Tanti, troppi, hanno cercato di dare una spiegazione su Stonehenge. C’è chi pensa che si tratti di una costruzione dei marziani, chi di Dio, chi di mia mamma, chi di Giuseppe Culicchia. C’è chi ha provato a spiegare come hanno fatto a spostare pietre che pesano tonnellate senza l’aiuto della moderna ed infallibile meccanica tecnologica. La verità è che nessuno conosce veramente la soluzione a questo mistero. Se andrete mai a Stonehenge, cari lettori, lasciate stare la ragione. Io mi sono seduta in un angolo e mi sono goduta la mia profonda ignoranza. Ho concluso, come spesso mi è accaduto in altri viaggi, che l’umanità in fondo non è che nel corso dei millenni sia necessariamente migliorata: migliaia di anni fa, spostavamo rocce pesanti come montagne. Come? Chi lo sa. Oggi, spesso, non riusciamo a spostare un evento nel nostro calendario Outlook.
  • Detto quanto sopra, ovvero avendo accettato in parte un po’ di sana ignoranza, ammetto di credere più alla datazione radiocarbonica: essa indica la costruzione del sito tra il 3100 a.C. (o era il 2500 a.C. – cari studiosi, per favore, mettevi d’accordo: il radiocarbone non mi pare sia variabile come un oroscopo) e il 1600 a.C. che alla teoria che un bel giorno i marziani, stanchi della loro vita inutile su Marte, abbiamo deciso di venire sulla Terra a spostare due pietre. Se proprio devo, preferisco immaginarmeli che giocano a scacchi con le galassie.
    • Il Cerchio di pietre è indubbiamente ciò che è entrato nell’immaginario collettivo, quando si parla di Stonehenge. A me, però, è rimasta in mente anche la Pietra del Tallone, o più semplicemente il Tallone del Frate. E’ messa storta, e a me sembra una scheggia. Una piccola leggenda racconta quanto segue: il diavolo comprò le pietre da una donna in Irlanda, le avvolse e le portò sulla piana di Salisbury. Una delle pietre cadde nel fiume Avon, le altre furono portate sulla piana. Il diavolo allora gridò, “Nessuno scoprirà mai come queste pietre sono arrivate fin qui”. Un frate rispose, “Questo è ciò che credi!”, allora il diavolo lanciò una delle pietre contro il frate e lo colpì su un tallone. La pietra si incastrò nel terreno, ed è ancora lì”. Più bella, vero, della storia del radiocarbone?
  • Secondo siti davvero bizzarri, esisterebbe negli Stati Uniti una copia di Stonehenge. Mi chiedo a chi possa venire in mente una cosa tanto stupida.

I fatti interessanti su Stonehenge sarebbero milioni, e sarei costretta a dedicare un blog intero alle leggende che lo vedono teatro di avventure in cui compaiono in ordine sparso Re Artù, Paperino, i Puffi, Pippo, Plutone, la Wicca, Goffredo di Monmouth, Merlino ma non Anacleto (molto male!), i Druidi, Costantino III, e ovviamente solstizi ed equinozi.
Ciononostante, finisco questo paragrafo dicendo che in luoghi come Stonehenge si sente qualcosa. Si sente che qui l’Umanità nel corso dei millenni aveva trovato una profonda connessione con la Terra. Quella Terra che spesso scriviamo con la t minuscola. Io so anche che a Stonehenge mi è venuto di guardare il cielo e cercare il sole. Per un breve istante ho desiderato che fosse davvero il solstizio estivo così da vedere l’alba incastrarsi come per magia nell’asse di Stonehenge.

To be continued ….

 Il tempio di Neasden   Vado nel Somerset – parte seconda 

4 risposte a “Vado nel Somerset”

    • Thanks for reading my latest post, AR. It’s always very rewarding to know that my readers are satisfied. If then my readers are my friends too, the feeling is even better. Big hugs, Skandorina

  1. Come sempre un altro bellissimo racconto, i posti che hai visitato devono davvero essere splendidi! Ho visto un po’ di tempo fa un documentario su Bath e hai descritto la citta’ benissimo…attendiamo foto!

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