Polonia

Auschwitz-Birkenau

Auschwitz non è caduta all’improvviso dal cielo

Mi alzo presto perché la partenza del tour organizzato che mi porterà da Cracovia ad Auschwitz è alle 6. Piove e fa relativamente freddo anche se siamo alla fine di aprile. Dopo aver lasciato la città, il bus si muove lungo una strada comune, noiosa quasi, una via di campagna che corre in mezzo a prati e a piccoli boschi. Sembra tutto banalmente normale ed è probabilmente proprio questa convenzionalità a rendermi nervosa: non ho pace perché non trovo risposte alle mille domande che dimorano nel mio cuore mentre mi avvicino a questo luogo di orrore. Come è potuto accadere tutto questo? Perché non è stata fermata questa macchina della morte? Dov’erano tutti? Dov’era il mondo che ha visto e sentito tutto questo e non ha fatto nulla per salvare tutte quelle persone?

Nonostante l’angoscia che sento in questo Giorno della Liberazione in Italia, penso anche si tratti di un’esperienza di viaggio necessaria, morale, etica, soprattutto oggi. Allo stesso tempo, però, tutto mi sembra così surreale, quasi onirico. Quando Primo Levi ha scritto “Se questo è un uomo”, era convinto che non valesse la pena di documentare quanto era accaduto in questa parte di Polonia (oltre che in altre, troppe zone limitrofe) perché le atrocità commesse erano finite: la storia degli ultimi 50 anni in Europa e altrove nel mondo, ci ha invece dimostrato che la ferocia non è affatto completa e quindi bisogna parlarne di nuovo, ad ogni occasione, perché le nazioni che non ricordano la storia non hanno un futuro. L’orrore potrebbe ripetersi in luoghi in cui il passato viene dilatato per soddisfare le esigenze politiche attuali, o in cui la maggioranza è indifferente al fatto che le minoranze vengono private dei loro diritti. Alla luce di quello che sta succedendo in Italia, penso che non si debba restare indifferenti quando un potere o un governo violano i diritti sociali esistenti, perché Auschwitz non è caduta dal cielo all’improvviso: la sua posizione, scelta con cura millimetrica quasi scientifica, è stata selezionata tra due fiumi in una zona isolata apposta.

A creare questo luogo della morte, ha contribuito una serie incalcolabile di piccoli passi che si sono avvicinati fino a quando non è successo quello che è successo qui dentro, fino a quando hanno perso la vita 1,3 milioni di polacchi, Sinti, Rom, prigionieri di guerra sovietici, e soprattutto circa 1,1 milioni di ebrei. Il campo nazista di Auschwitz-Birkenau è stato, infatti, il punto di arrivo di un processo iniziato con l’esclusione: dalle panchine, dai panifici, dai parchi, dalle piscine. Una volta stabilita una nuova realtà di stigmatizzazione ed esclusione, il passo è stato breve per togliere ulteriori diritti, disumanizzare e far scomparire quella minoranza. Le lacrime per il passato sono inutili se accompagnate dall’indifferenza nel presente nei confronti delle minoranze che subiscono esclusione, razzismo e violenza.

Un’immensa, oscena macchina da soldi

Una sensazione di totale devastazione si manifesta fisicamente non appena attraverso il cancello su cui campeggia la scritta infame “Arbeit macht frei”, il lavoro rende liberi. Ho già gli occhi pieni di lacrime all’inizio di questa giornata. La nostra guida ci conduce poi da lì verso una serie di capannoni in cui – organizzati in teche – si possono vedere migliaia di paia di scarpe, tra cui alcune ovviamente appartenenti a bambini e adolescenti, valigie, occhiali, e capelli che poi venivano venduti sul mercato tedesco. Realizzo una volta ancora che Auschwitz è stata un’opera di sterminio, ma è stata anche drammaticamente un’immensa, oscena macchina da soldi.

All’angolo tra i diversi capannoni, ci sono delle torrette in legno, dove al caldo e all’asciutto, le SS (che ricordiamolo, erano un corpo speciale fatto solamente di volontari) controllavano i sommersi che morivano e si ammalavano al freddo e alla pioggia.

Da lì, quasi come automi, ci spostiamo verso il Block 11: la perversione di quanto è successo qui dentro mi sembra che ne permei i muri, che ne saturi ancora l’aria. Qui le punizioni erano solitamente legate a sospetti di sabotaggio, contatti con i civili, tentativi di fuga o aiuto ai fuggiaschi, o arresto durante la fuga. Le celle normali avevano finestre parzialmente murate dall’esterno e i detenuti potevano dormire su brande di legno. Al posto delle finestre, le celle buie avevano bocchette d’aria coperte all’esterno da schermi metallici con fori per l’aria. I prigionieri dormivano sul pavimento nudo. Il confinamento nelle celle buie durava da alcuni giorni a diverse settimane. I prigionieri confinati a morte per fame per tentativi di fuga, o dopo essere stati scelti come ostaggi per rappresaglia contro le fughe di altri, erano tenuti nelle celle buie. A partire dall’inizio del 1942, gli imprigionati cominciano anche ad essere puniti con la reclusione in celle verticali. Si trattava di quattro spazi di meno di un metro quadrato ciascuno. L’unica fonte d’aria era un’apertura di pochi centimentri, coperta da una griglia metallica. L’ingresso alle celle in piedi avveniva attraverso una piccola apertura a livello del pavimento, chiusa da sbarre e da una botola di legno. Quattro prigionieri erano confinati in ciascuno di questi spazi per la notte. Al mattino dovevano recarsi al lavoro. La punizione veniva applicata per periodi che andavano da alcune notti a diverse settimane di seguito.

La catastrofe

Da Auschwitz I, il bus ci porta in pochi minuti all’ingresso di Birkenau (Brzezinka in polacco, “bosco delle betulle”). È il più esteso degli oltre 40 campi e sottocampi che costituivano il complesso di Auschwitz (rileggete questa breve descrizione di nuovo: 40 campi e sottocampi), ed è proprio la sua spropositata grandezza a tagliarmi il fiato mentre guardo i binari che tanto abitano l’immaginario collettivo mondiale quando si pensa a questo luogo di perversione e supplizio.

Birkenau ha avuto diverse funzioni durante i suoi tre anni di feroce attività: all’inizio, nel 1941, doveva essere un campo di lavoro per circa 125 mila prigionieri di guerra. In realtà, il campo non ha mai svolto la sua funzione originaria. L’anno successivo, infatti, diventa a tutti gli effetti una oscena succursale di Auschwitz I. Qui vengono combinate le funzioni di campi di concentramento come Mauthausen o Dachau con quelle di centri di sterminio diretto come Treblinka o Bełżec.

La precisione millimetrica dell’orrore, l’organizzazione metodica dello sterminio – una nuova soluzione, destinata a svolgere i compiti economici e di sterminio dello Stato nazista contemporaneamente e nel modo più efficiente possibile.

A Birkenau muore circa il 90% delle vittime del sistema intero di Auschwitz: circa un milione di persone, di cui 9 su 10 ebree, andarono nel vento. Delle altre popolazioni e culture, anche gran parte degli oltre 70 mila polacchi che transitarono in questa zona del devasto è morta o è stata uccisa qui. Stessa sorte per circa 20 mila Rom e Sinti, oltre a prigionieri di guerra sovietici e di altre nazionalità.

Sulla via del ritorno verso Cracovia, la testa continua a macinare domande: come te li spieghi certi numeri? Come? Sai quante scarpe sono? Quante dentiere, quanti cuori che battono? Com’è stato possibile che, per prendere solo un esempio famoso tra tanti, uno come Rudolf Höss, di famiglia rigidamente cattolica, educato a essere obbediente e rispettoso nei confronti degli adulti e degli anziani, abbia gestito un luogo come questo senza che nessuno lo fermasse? Com’è possibile che uno così, l’Animale di Auschwitz, durante il processo di Norimberga si sia permesso di correggere il presidente del tribunale che aveva parlato dell’assassinio di tre milioni di persone nelle camere a gas dicendo che “furono solo due milioni e mezzo, gli altri morirono di fame, sfinimento o malattia”? Chi guidava i treni che portavano queste persone nel complesso di Auschwitz?

Non riesco a trovare risposte. Forse semplicemente la Shoah ha avuto luogo perché individui, gruppi e nazioni hanno deciso di agire o non agire. La negazione o la distorsione della storia è un attacco alla verità e alla comprensione. E la comprensione e la memoria del passato sono fondamentali per capire noi stessi, la nostra società e i nostri obiettivi per il futuro.

E allora, con questo piccolo, tragico viaggio, io ho pensato di agire: di scriverne, in mezzo all’estate, per darvi un po’ fastidio forse, ma soprattutto per ricordare soprattutto a me stessa che negare o distorcere intenzionalmente la documentazione storica minaccia la comprensione comunitaria di come salvaguardare la democrazia e i diritti individuali.

Vi lascio qui una serie di risorse per continuare il viaggio, per continuare a capire:

 Praga che in realtà è a Varsavia 

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