India

India: non solo Bollywood pt.2

Benvenuti alla seconda ed ultima puntata di questa carrellata dedicata alla cinematografia indiana. Da quello che ho potuto sentire direttamente su questo sito e tramite i messaggi e le email che ho ricevuto in privato, la prima puntata vi è piaciuta: sono felice di avervi portati lontani da questa strana, surreale realtà quotidiana con le mie parole e i miei suggerimenti! Come sempre, vi incoraggio a condividere i link a questa carrellata con chi potrebbe aver bisogno di un momento di evasione o con quanti amano l’India come me.
Come ci dicevano quando potevamo prendere un volo, rilassatevi e godetevi il viaggio: partiamo!

Tra la terra e il cielo (2015)

Mi piace di nuovo iniziare questa carrellata con un film che racconta in maniera sincera e diretta l’India contemporanea. Quella meno esotica, o da cartolina. Quella più faticosa e fastidiosa. Quella piena di contraddizioni, che spesso sono ineguaglianze e ingiustizie: discriminazioni quando non violenze, compiute dai più forti verso i più deboli. Il film è ambientato in un luogo sorprendente, a Varanasi, un arazzo dove si intrecciano vite vivide e spezzate da almeno 5000 anni. Ma la città dove si muovono i protagonisti è una città in piena mutazione: i giovani parlano di Facebook e aspettano i loro sogni di fuga. Il titolo originale del film è Masaan, che in Hindi significa crematorio, e tutto ruota intorno all’amore e alla morte che in India convivono costantemente e brutalmente.

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Le storie che si intrecciano in “Tra la terra e il cielo” vedono protagonisti Devi (la bravissima Richa Chadha) e Deepak (Vicky Kaushal). Lei è bella e istruita, guarda film porno e fa l’amore con uno sconosciuto: non si scusa d’esser donna, ma ne paga le conseguenze in un paese misogino e patriarcale dove le donne non hanno il diritto di uscire da sole, figuriamoci avere rapporti prima del matrimonio. Lui, invece è un intoccabile: il padre è il Dom Raja dei ghat in fiamme, e Deepak, quando non è al college, brucia cadaveri, spazza la cenere e aiuta sconosciuti in lutto a spaccare crani. È la storia di una relazione ancora impossibile in un’India moderna che solo sulla carta ha abolito le caste.

Consiglio questo film soprattutto a chi tende a romanzare l’India, a chi parte a cuor leggero immaginandosi di essere accolto, una volta arrivato là, da Krishna e dalla pulizia di un ashram per occidentali. L’India è anche il paese dove la trasgressione delle regole rappresenta quasi sempre il disonore, l’emarginazione e il ripudio, soprattutto se si è donne.

Il treno per Darjeeling (2007)

Se amate Wes Anderson, saltate pure al prossimo suggerimento, tranquilli, non mi offendo. Se invece non conoscete questo regista, molto male: andate dietro alla lavagna con le orecchie da asino!

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“Il treno per Darjeeling” è la storia di tre fratelli (Jack, Peter e Francis, interpretati nell’ordine da Jason Schwartzman, il magnificentissimo Adrien Brody e Owen Wilson) che un anno dopo la morte del loro padre (Bill Murray, need to say more?) decidono di viaggiare nel nord dell’India alla ricerca della loro madre, che inspiegabilmente non ha partecipato al funerale. I tre fratelli si incontrano a bordo di un treno chiamato The Darjeeling Limited nella speranza di rinnovare il loro legame fraterno e raggiungere un qualche tipo di consolazione spirituale. La loro ricerca, tuttavia, vira rapidamente fuori rotta quando vengono cacciati dal treno in seguito a un incidente che coinvolge una bomboletta di spray al peperoncino. I fratelli litigiosi sono bloccati in mezzo al nulla con montagne di bagagli firmati.

E molto altro ovviamente succede in questa avventura, dove resuscitano i cliché sull’India vista dagli occidentali. “Il treno per Darjeeling” è una poesia per gli occhi (come tutti i film di Anderson), ma a me è piaciuto particolarmente perché l’eccentrico viaggio spirituale dei tre fratelli affronta il tema del lutto in modo originale e fornisce l’occasione per numerosi incontri, ognuno più pazzo degli altri.

Ultima nota su questo film: la colonna sonora è sublime e vi porterà dai The Kinks (con “This time tomorrow”) a Satyajit Ray (qui) alla meravigliosa “Where do you go to my lovely” di Peter Sarstedt.

I figli della mezzanotte (2012)

“I figli della mezzanotte” andrebbe visto solo perché è l’adattamento cinematografico del romanzo del 1981 di Salman Rushdie, che spesso, tristemente, in Italia è conosciuto solo per i “Versetti”. Ma so che voi, cari lettori, non vi accontenterete di così poco.

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Quindi eccole le altre ragioni per cui mi sento di consigliarvi questo film: perché è una storia di magia e di abracadabra, perché i bambini protagonisti di questo racconto hanno poteri speciali, perché i personaggi marciano in continui flash-back e flash-forward attraverso la storia dell’India, dalla prima parte del XX secolo fino all’indipendenza ai giorni dopo lo stato di emergenza di Indira Gandhi negli anni ’70, e sfrecciano intorno al subcontinente, dal Kashmir ad Agra a Mumbai al Pakistan occidentale al Pakistan orientale (che presto sarà il Bangladesh).

Ancora non vi basta? Guardate “I figli della mezzanotte” perché è la storia di una famiglia, e più precisamente di un bambino, Saleem Sinai, nato allo scoccare della mezzanotte del 15 agosto 1947, il momento stesso della nascita dell’India come paese libero. Ci sono 1.001 bambini nati in quell’ora, tutti con poteri speciali come vi dicevo prima, ma molti sono morti quando Saleem (Darsheel Safary da ragazzo; Satya Bhabha da adulto, che qualcuno di voi ricorderà in “New Girl”) scopre che può sentire le voci degli altri bambini nella sua testa come se fosse una specie di radio di tutta l’India. Ve l’ho detto: abracadabra. Se vi è piaciuto “Water” (di cui ho parlato nella prima puntata), amerete anche questo!

Mirzapur (serie)

Come faccio a spiegarvi cos’è “Mirzapur”? Potrei cominciare dal dirvi che il Mirzapur del titolo è nell’Uttar Pradesh, nel Nord dell’India. E potrei dirvi che l’Uttar Pradesh è famoso nel mondo perché – tra le altre cose – è lo stato dove si trova il Taj Mahal. Ma tutto questo non si vede nella serie “Mirzapur”.

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In “Mirzapur” si racconta una storia che, almeno io, personalmente non mi sarei mai aspettata di veder ambientata in India: una storia di mafia e di milionari corrotti che coprono (a mala pena) le loro attività a dir poco sordide dietro ad un business di tappeti. È la storia di Munna, il sanguinario ma anche sfigatissimo figlio del suddetto milionario corrotto e crudele, Mr. Akhandanand Tripathi. Il suo destino si unisce a quello di Guddu e Bablu.

[Piccolo intermezzo ormonale: Bablu è Vikrant Massey. Ormai sapete tutto di lui, dato che ve ne ho parlato nella prima puntata quando vi ho consigliato “A death in the Gunj”. Guddu è Ali Fazal, protagonista di diversi film di Bollywood che ho giurato di non consigliarvi qui, ma anche di “Victoria e Abdul” . Anche lui bello come il sole, e bravo, anzi bravissimo. Fine dell’intermezzo ormonale]. 

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Torniamo a noi. Mirzapur, dicevamo, è una storia di mafia, una storia di violenza, assassinii, sangue. Una “Gomorra” indiana, immagino. Ma questa serie, arrivata ad oggi alla terza stagione, è anche soprattutto la storia delle donne di Mirzapur: è la storia di Sweety, il grande amore di Guddu; è la storia della sorella minore di Sweety, Golu, che da studentessa universitaria secchiona e intelligente che legge sempre libri passerà ad un incredibile lato oscuro e cercherà vendetta; è la storia di Beena Tripathi, seconda moglie del milionario crudele di cui sopra.

Azmaish a journey through the subcontinent (2017)

Concludo la lista dei suggerimenti con un documentario che ogni scuola dovrebbe condividere con i suoi alunni. Si tratta del lavoro della regista pakistana Sabiha Sumar che esplora la complessa relazione tra l’India e il suo paese natale. Viaggiando per le due nazioni, Sumar e l’attrice indiana Kalki Koechlin sono testimoni di paesaggi politici che cambiano radicalmente.

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I loro incontri danno vita a una ricerca personale e poetica per scoprire le voci della maggioranza silenziosa, in particolare quelle delle donne. In patria, Sumar intervista pakistani di diverse classi e regioni in conversazioni in cui è spesso la sola donna al tavolo. In India, Sumar e Koechlin parlano con figure politiche e gente comune, esaminando l’ascesa del fondamentalismo indù.

Mentre si disperano per il declino del pensiero laico e la limitazione dell’espressione che vedono in entrambe le nazioni, scoprono anche l’umanità condivisa oltre la retorica politica divisiva. Mentre il nazionalismo continua ad aumentare in tutto il mondo, AZMAISH è uno strumento prezioso per innescare conversazioni sull’intolleranza, e per chi vuole approfondire il conflitto India/Pakistan dalla prospettiva di una donna.

 India: non solo Bollywood pt.1 

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