Italia

‘Cause we’re lovers, and that is a fact 6

Quanto tempo è passato dall’ultima volta che ti ho scritto (qui). Un anno. Capisci, il tempo vola. E gli amori fanno dei giri immensi e poi ritornano, come diceva Venditti.
Non avermene a male, cara Torino. Non pensare che non ti voglia più bene.
E’ solo che.
Ma lasciamo stare la politica e chi decide cosa nelle tue strade. E chi dice di amarti, mentre in realtà direziona fondi e progetti che svuotano le tue vie e non riempiono le tue piazze.

Io, comunque, sono ancora innamorata di te.

Sono innamorata delle radici degli alberi dei Giardini Cavour. Non so quante volte sono passata in quel parco e solo recentemente le ho viste spuntare in mezzo a tutte quelle foglie d’oro che si sono rovesciate a terra da qualche settimana: che strana la nostra attenzione. Assomigliano a dei capillari, messi in rilievo da una mano molto più forte e grande di noi. Li ancorano a terra e dopo aver passato qualche minuto vicino a loro, mi è sembrato di essere più forte.

Voglio bene ad un negozio, poi.
Un negozio che si trova in via Po 40. Gli voglio bene perchè ogni volta che passo da lì mi fa ridere: metà è un bar, metà è una gioielleria. Mi fa ridere perchè io, quel negozio che esiste da decenni, l’ho ribatezzato “personalità dissociata” dato che ha due anime e probabilmente due contabilità separate ma unite per sempre nello stesso angusto spazio urbano.

C’è quella villa in via Canova 52. Su una delle pareti, una dedica che ho scoperto da poco, un segno di amore diverso: il cuore di un figlio che ringrazia d’aver avuto una mamma buona, intelligente e coraggiosa. Sono un modo di fermare il tempo, forse, queste parole? Come per dire: “Lo scrivo qui, su questo muro, in mezzo al traffico. Per lo meno qui, rimarrà il tuo ricordo, la tua dignità, il tuo coraggio, senza paura”.

Mi piace anche fare le carezze a Porta Nuova. No, non a tutta la stazione, perchè ci metterei troppo. Mi viene da abbracciare la lapide che si trova davanti al binario 17, se non sbaglio. E’ una lapide che dovrebbe ricordare ai viaggiatori contemporanei che da lì partivano dei treni pieni che tornavano vuoti. E’ una lapide che lega questi nostri giorni presenti, carichi di nuvole e pestaggi bruni e brutti, ad un mondo che avevamo promesso di non ripetere. Abbiamo fallito.

E poi, voglio bene al Po. Anche se è chimico e sporco e dicono che se ci cadi dentro, esci con tre gambe e le branchie. Gli voglio bene comunque, perchè sulle sue sponde ci ho visto di tutto in questi anni: ho visto innamorati, sportivi sudati, pescatori che sembravano camminare sull’acqua, cani, gatti e topi, e padroni sconvolti che correvano dietro ai loro animali (ok, dai topi scappavano). Nelle silhouette cucite dal calar della sera, ho visto gabbiani e nutrie giocare a rubamazzetto. Che poi chissà da dove vengono, i gabbiani. Al Po voglio bene perchè brilla quando c’è il sole. E se brilla perchè è chimico, io me frego perchè si fa così, no, quando si è innamorati.

Sarò un po’ snob, ma io porterei ad una cena romantica le piastrelle mosaicate di Mulassano, che ti accolgono appena fuori dalla sua porta e che purtroppo non si notano perchè sono nascoste dalle sedie e i tavolini finchè il bar resta aperto. Lo so, molti diranno che preferirebbero uscire con i suoi tramezzini. O con il suo soffitto, in cuoio Madeira. Io no. Se proprio devo dirtela tutta, cara Torino, io uscirei anche con l’orologio che sta dietro al bancone da Mulasssano, che ha una sola lancetta e tutti i numeri che indicano le ore sono messi alla rinfusa. E’ un orologio pazzo che viene azionato da un pulsante posto vicino alla cassa e serve a decidere chi, in un gruppo di amici, deve pagare il conto. Chi realizza il numero più alto, paga.

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Per concludere questo nuovo nostro appuntamento galante, direi, che io provo una passione maldestramente nascosta per la Biblioteca Reale, lì, all’angolo di Piazza Castello. Non importa quante volte ci passi. Se è aperta, io devo entrare – anche solo per qualche minuto. Perchè sarà che questa cattedrale del sapere sembra che si nasconda, un po’ timida sotto gli archi che portano al Teatro Regio in fondo. Sarà che io in mezzo ai libri ci sto bene, comunque. Sarà che al piano di sotto c’è un caveau che ogni tanto ospita mostre incredibili. Saranno tutte queste motivazioni che me la fanno amare, ed io non ci posso far nulla.

L’amour c’est l’amour, no?

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2 risposte a “‘Cause we’re lovers, and that is a fact 6”

    • Ciao Frans! Esatto: l’amore è totale o non esiste!
      “Rubamazzetto” è un gioco di carte italiano. Purtroppo non penso che esista una traduzione 🙂

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